Imparare a Vedere

Fotografia, creatività, istinto e emozione. Un blog di Axel Cipollini

lunedì 23 agosto 2010

Blood in the Sand

Ho realizzato questo multimedia assieme al mio amico fotografo Charlie
Mahoney. E' un documentario sulla proibizione delle corride a Barcellona
ed in tutta la Catalogna. Mostra quello che normalmente i media non
mostrano e non dicono.
...Attenzione: le immagini sono molto forti.



Blood in the Sand from Axel Cipollini on Vimeo.

sabato 6 marzo 2010

Voglio Fare il Fotografo


©2010 AxelCipollini - tutti i diritti riservati - Autoritratto

Anche se non sono un fotografo di Magnum o della VII, ogni tanto qualcuno mi scrive, e quando non mi chiedono che macchina fotografica comprare o se l’obiettivo x e meglio dell’obiettivo y in genere mi chiedono: voglio fare il fotografo, come si fa? Come imparo? Come mi muovo nel mercato? Si sopravvive solo facendo matrimoni e fototessere o ci sono delle possibilità concrete di dedicarsi al fotogiornalismo o alla foto di viaggio?

Posto qui una risposta che ho mandato a una giovane fotografa che mi ha scritto oggi e che vorrebbe dedicarsi alla foto di reportage, magari potrà essere utile a qualcun altro.

La professione di fotografo non è una professione facile, nel senso che, specie in alcuni campi, riuscire a sopravvivere è davvero duro. E di questo te ne sei già resa conto…

Non per questo bisogna mollare però!
Credo che la spinta maggiore per tutti quelli che vogliono fotografare professionalmente sia senz’altro una grande e indomabile passione, però credo anche che ci sia dietro anche una scarsa conoscenza di quello che è la professione reale. Ovviamente non esiste solo un tipo di fotografo e le sfide professionali, umane e commerciali di un fotografo documentarista sono indubbiamente diverse da quelle di un fotografo di architettura, di vela o di food! Anche questo credo ti sia chiaro, anche perché hai già avuto diverse esperienze professionali in campi diversi, sia come assistente che come fotografa.
Assodato che il fotografo uno lo fa nel 99,9% dei casi per passione e non tanto come una forma più o meno piacevole di far soldi con relativa facilità, credo che il punto centrale sia capire quello che uno vuole realmente fotografare: “Che cosa ti da veramente gusto, piacere, soddisfazione in se per se?”
Devi capire cioè quello che fotograferesti anche se non solo nessuno ti pagasse per farlo ma addirittura nessuno ti dicesse mai brava!
E per capirlo, nel caso uno non lo avesse ancora mai fatto, la cosa migliore è farlo, iniziare qui ed ora, darsi un auto-assignment, lavorare ad un progetto, grande o piccolo che sia e portarlo a termine, e trovare anche il modo di condividerlo con il massimo numero di persone. I frutti, se il lavoro è veramente sentito, ci saranno. Presto o tardi.
Diciamo che in questo, i fotografi attuali sono grandemente facilitati dalla presenza di internet ed anche dal digitale. Non basta però creare un sito, non basta mettere in piedi un blog, bisogna anche tenerli aggiornati, renderli interessanti, originali e trovare il mezzo per farli conoscere dalla gente! Anche in questo i social network e le mail sono strumenti importanti, ma non credo possano rimanere gli unici. Insomma bisogna costruire una rete di contatti, questo è fondamentale.
Tanta gente pensa che per fare il fotografo la cosa più importante sia saper fotografare ma la realtà ci insegna che ci sono un mucchio di cose altrettanto se non più importanti per riuscire anche a vivere delle proprie foto!
Comunque andiamo con ordine, la cosa più importante è capire cosa vogliamo fotografare, e farlo senza alcuna considerazione inerente la difficoltà o la profittabilità di quel particolare genere. Questo non vuol dire che uno non possa o non debba accettare lavori diversi, ma è fondamentale, per continuare a nutrire la propria vena artistica, non smettere di fotografare quello che ci interessa, in altri termini continuare la propria ricerca personale. È soprattutto una maniera per non tradire se stessi, se non lo facciamo la nostra creatività ci punirà e la nostra vena si seccherà!
Ovvio che, se non si è ricchi, non si ha un mecenate, o si è messo qualcosa da parte, bisogna anche trovare la maniera di sopravvivere, almeno fino a quando non ci daranno sufficienti commissioni del tipo che faremmo anche gratis. Come pagare le bollette quindi?
Le risposte possono essere diverse, ed ognuno credo debba trovare la sua maniera, ma sostanzialmente possiamo riassumerle in queste due:
- Sopravvivere grazie alla fotografia, facendo i lavori che ci richiedono, anche se non sono proprio quelli che ci fanno impazzire…
- Fare altro, qualsiasi altra cosa che sappiamo, vogliamo e/o possiamo fare e che ci permetta di mangiare, dormire sotto un tetto ed ogni tanto poterci comprare anche un paio di mutande…
In entrambi i casi, fondamentale è trovare qualcosa che ci lasci il tempo e l’energia per permetterci di continuare a fotografare quello che ci va, ed anche di condividerlo!

Altra cosa fondamentale (e lo dico anche per auto-tutelarmi!) è non svendersi! Non regalare il proprio lavoro, la propria creatività, se non a persone realmente bisognose o per validi motivi.
Se non vogliamo o non ci vogliono pagare in denaro, troviamo la maniera di fare uno scambio, un baratto. Già troppa gente pensa che le foto non valgono nulla o quasi, e tutti, con una digitalina, possono farne di stupende.
Certo, un appassionato pur di vedere utilizzato, pubblicato il proprio lavoro, è spesso disposto a fare qualsiasi cosa, e credo questo sia uno dei motivi del successo del micro-stock, ma il risultato è che è sempre più difficile vivere di fotografia per colpa dei fotografi stessi oltre di chi li sfrutta!

In quanto al fotogiornalismo ed alla fotografia documentaria in generale, questo è uno dei settori in crisi maggiore, pubblicare è difficilissimo, farsi pagare un prezzo giusto ancora più difficile. Non per questo, se uno ha davvero la passione di scrivere delle storie con le proprie foto deve mollare… tutto cambia molto velocemente ed io credo che il fotogiornalismo non scomparirà ma quasi certamente si trasformerà in maniera radicale (vedi new-media…).

Volendo riassumere il tutto direi: se la fotografia è davvero la tua forma di espressione allora non mollare! Trova a qualsiasi costo la maniera di esprimere la tua creatività! E anche se per adesso non ci vivi e magari non ci guadagni niente, continua a creare e condividere, creare e condividere, creare e condividere.

È importante, sia per gli altri, sia per te. Più di quello che tu possa credere.

lunedì 25 gennaio 2010

Zen y Fotografía




El Zen es un escuela budista japonés. Esa no tiene alguna divinidad, ninguna escritura sagrada.
La sola cosa importante para los practicantes es llegar hasta una visión del corazón de la realidad. Tener esta experiencia, que es una experiencia no-racional, que no utiliza la razón es algo que puede pasar de repente, sin causas aparentes pero al mismo tiempo es algo que puede ser de alguna manera preparado, facilitado. Pero que quiere decir llegar al corazón de la realidad? Mirar a la realidad sin interpretaciones, sin explicaciones. Hay un libro bastante famoso de Herrigel Zen En El Arte del Tiro Con Arco. En la introducción el estudioso de filosofías orientales Daisetz Teitaro Suzuky dice: "Si se quiere realmente ser Maestro en un arte, su conocimiento técnico no basta; es necesario trascender el aparato de la técnica, de manera que el arte se convierta en un "arte sin artificio", surgido del Inconsciente. En el caso particular de la arquería, quien acierta el blanco y el blanco mismo, dejan de ser dos objetos antagónicos para transformarse en una sola, única realidad. El arquero pierde conciencia de sí como persona empeñada en dar en el blanco que tiene ante su vista; y este estado de "inconsciencia" se cumple cuando, absolutamente vacío y libre de sí, se vuelve uno, indivisible, con el arte de su destreza técnica, aunque haya en él algo, de un orden totalmente diferente, que no puede ser aprehendido a través de ningún estudio progresivo del arte." Esto es verdad para el arquería pero también para todas las formas de arte y de expresión creativa: fotografía incluida, claro. Parece algo difícil de entender y aun mas de hacer, pero yo creo que es un estado que todos hemos probado en nuestra vida. Hay momentos cuando la mente racional se para, y lo que estamos haciendo surge espontáneo: puede ser bailando, puede ser dibujando, puede ser conduciendo el coche o jugando a fútbol. Cuando eso pasa tomando fotografías es algo muy visible, de repente nos damos cuenta que es el dedo, el cuerpo que se mueve solo, el instinto que decide el momento y la composición mas que la mente racional. Pero como se hace? Fotografiar de esta manera es un poco como meditar, es una meditación. Meditar es observar sin juzgar nuestra realidad, lo que pasa en nuestro cuerpo, lo que pasa en nuestra mente. Aprender a ver quiere decir mirar al corazón de las cosas sin juzgar y sin interpretar.

lunedì 23 novembre 2009

Liberare la Creatività




Ci sono molti modi.

Creatività è darsi il permesso di esprimere con spontaneità ciò che siamo. Se ci permettiamo questo, ogni foto che scatteremo, ogni disegno che faremo, ma anche ogni gesto, ogni frase che diremo, saranno autoritratti, unici, di una parte di noi.

Creatività è, l'ho già detto in altri post, uscire fuori dagli schemi familiari, culturali, appresi, ereditati. Se percorriamo sempre gli stessi sentieri, arriveremo sempre negli stessi posti.
Come fare allora per cambiare cammino?
Qui i miei consigli si riferiranno specificamente ai fotografi ma sarà facile estenderli e modificarli a qualsiasi altra forma di espressione, di arte, di comunicazione.

Prima di tutto dobbiamo capire che non saranno tanto importanti i soggetti che sceglieremo, quanto come li fotograferemo. Tutto può essere interessante. Dipende da come lo guardiamo e da come lo mostriamo. Anche semplicemente con un solo obiettivo, magari a focale fissa, le variabili saranno davvero infinite: la prospettiva, la scelta del momento, la luce, gli elementi di primo piano e di sfondo... per non parlare delle variabili in post-produzione.

Quindi un buon esercizio, può essere semplicemente di fotografare quello che normalmente non fotografiamo, ovvero le cose normali, quotidiane, per esempio i nostri abiti, la nostra casa, il percorso che facciamo ogni giorno per andare a lavorare.
Dobbiamo però cercare di vedere quello che normalmente non vediamo, provando a guardare le cose abituali come se fossero totalmente nuove per noi, come fossimo stranieri in viaggio o ancora meglio extraterrestri appena sbarcati da un UFO.
Dobbiamo riuscire a vedere un calzino abbandonato su di una vecchia poltrona come se fosse un'installazione di arte contemporanea o i croccantini del gatto come se fossero un paesaggio di massi multicolori su di un altro pianeta, oppure i brandelli di manifesti stracciati che pendono dai muri come antiche testimonianze di civiltà scomparse o multiformi piante infestanti tropicali...
Solo che non basterà immaginare, bisognerà anche trovare la maniera giusta per mostrare agli altri tutto ciò.
Oppure provate a fotografarvi le mani o i piedi, ma come se appartenessero ad un'altra persona.

Il punto è che la mente razionale, per rendersi la vita più facile, per cercare di spiegare cose che spiegabili non sono, tende a etichettare tutto, a schematizzare ed incasellare, e così facendo banalizza, impoverisce, toglie unicità, distrugge la magia, la meraviglia delle cose.

Un manifesto rotto è solo un pezzo di carta ed un calzino abbandonato è solo la prova del nostro disordine, ed entrambi non hanno alcun valore, ecco quello di cui la nostra mente "razionale" cerca incessantemente di convincerci.

Poi arriva un pittore come Burri, o come Fontana e ci mostra la meraviglia di un taglio, di un pezzo di plastica bruciata.
Certo, c'è e ci sarà sempre chi non capisce, che pensa che quella non sia arte, sia mistificazione, imbroglio, paraculata, oppure ci saranno critici che scriveranno fiumi di parole dando significati senza senso, al quale l'artista e probabilmente nessun altro avrebbero mai pensato...

Il punto è semplicemente uno, riuscire ad alzare la cortina opaca della schematizzazione per scorgere la magia che c'è dietro.

Continua...

La creatività si puo imparare?



La creatività è l'atto di creare qualcosa di nuovo.
Molti, probabilmente quasi tutti, pensano che la creatività sia un dono, o ce l'hai o non ce l'hai.
In realtà non è così. Qualcosa, anzi molto, si può fare: si può liberare la propria creatività. Disseppellirla sotto la montagna di filtri mentali, di idee preconcette, di pregiudizi, di automatismi che ci portiamo sulle spalle.
Si, per creare qualcosa di nuovo bisogna uscire fuori dai binari, dalle schematizzazioni e soprattutto bisogna darsi il permesso di essere creativi. I principali nemici della nostra capacità di creare sono la paura del giudizio degli altri, l'autocritica esagerata e l'idea che solo gli artisti possono essere creativi e che noi, purtroppo o per fortuna, artisti non siamo.
E allora come si fa?
Non possiamo pensare di agire con la sola volontà, gli automatismi e gli schemi mentali ci condizionano così fortemente, anche se non ce ne rendiamo conto, che voler forzare un nuovo comportamento mentale sarebbe, come diceva Gurdjieff, voler fermare un treno in corsa a mani nude.
Ma fortunatamente ci sono altre strade.

martedì 7 luglio 2009

Seguire le regole, o no?

Girovagando su The Online Photographer ho incontrato il link ad un post intitolato 78 regole fotografiche per idioti completi, questo post in realtà è la copia di una serie di "consigli" pubblicati da un fotografo lituano Ivars Gravlejs sul suo sito. A dire il vero, tuttora non sono sicuro se il suddetto fotografo li abbia raccolti con intensioni serie o facete... ma in entrambi i casi l'argomento conserva tutto il suo interesse!
Come potete constatare voi stessi gli esempi di foto "sbagliate" nella maggioranza dei casi sono di gran lunga migliori delle equivalenti "giuste. Migliori sia per originalità che per impatto. Molte delle cosiddette foto "giuste" sono immagini banali e senza senso! Forse è proprio ciò che voleva dimostrare il fotografo suddetto, forse no.

E allora? Per fare foto buone bisogna costantemente rompere le regole?

Si e no.
Si perchè spesso il farlo ci porta ad esplorare strade meno battute e più creative di espressione fotografica.
No perchè l'infrangere costantemente le regole sarebbe come seguire costantemente delle regole opposte! E per cui alla fine ricadremmo nella banalità e nel limitare la nostra liberta di fare ciò che riteniamo meglio a seconda dei casi!
Niente regole quindi, ma neanche contro-regole!
Viva la creatività!

Nella foto sotto "Gay Pride 2009 a Barcellona" ©Axel Cipollini"


martedì 30 giugno 2009

Che bella foto! Ma cosa vuol dire?

Oggi mi lancio in un argomento, che forse per molti può apparire scontato o addirittura vuoto: quando una foto può considerarsi bella?
Il concetto di bellezza di una immagine non è un concetto univoco, credo che almeno su questo siamo tutti d'accordo. Una foto di reportage, una foto pubblicitaria e una foto artistica, saranno giudicate belle o brutte sulla base di parametri e fattori diversi. Analogamente la bellezza non è un assoluto, ciò che è bello per uno può essere orrido per un altro.
C'è però qualcosa che accomuna qualsiasi foto, alla resa dei conti, per essere giudicata bella, un immagine deve riuscire a comunicare.

A me viene da sostituire l'aggettivo bello con l'aggettivo buono, nel senso di efficace, espressivo, buono a comunicare, utile alla sua funzione, che non è puramente decorativa. Dire bello può essere fuorviante, ci fa pensare all'estetica più che alla comunicazione.



Mi viene da pensare ad una famosa foto di Eugene Smith (vedi sopra), che rappresenta una madre che lava il figlio dal corpo deforme, a causa di un intossicazione da mercurio dovuta all'inquinamento industriale della baia di Minamata in Giappone. È una foto eccezionale, una moderna pietà che tocca profondamente i nostri sentimenti più profondi, ci indigna e nel contempo ci commuove per l'infinita compassione che traspare nello sguardo della madre. Eppure dicendo semplicemente bella, potremmo pensare solo all'estetica, alla luce da quadro rinascimentale, alla composizione perfetta, che non costituiscono l'essenza dell'immagine ma solo elementi accessori, complementari.


Nei miei corsi ho sempre detto: una foto per funzionare, per essere buona, bella tra virgolette, deve riuscire a comunicare, e la maniera migliore per comunicare è emozionare.
Se non c'è emozione la comunicazione è fredda, razionale, puramente intellettuale e alla fine scarsamente efficace. È una comunicazione da cartello stradale, da elenco telefonico, da relazione scientifica, senza forza, senza poesia.
L'emozione ci tocca nell'intimo ed il messaggio entra immediatamente e rimane impresso.

Un semplice esercizio che consiglio è quello di selezionare una trentina di vostre foto, e di farle visionare ad amici, conoscenti, familiari, colleghi, chi volete, chiedendo di scegliere le tre migliori e le tre peggiori, senza dare ulteriori dettagli o spiegazioni. Ognuno dei "giudici" apporrà un più dietro le foto buone ed un meno dietro le foto cattive. L'esperienza può andare avanti per giorni o settimane, più persone vedranno le foto, più i risultati saranno interessanti. Ciò che in genere viene fuori è che alcune foto (che io chiamo ignave, senza infamia e senza lode) non vengono scelte da nessuno, ne come belle, ne come brutte, mentre altre collezionano un uguale o quasi numero di giudizi negativi e contemporaneamente positivi.
Le vere foto da scartare, sono quelle senza segni, quelle che non suscitano alcuna reazione! Non quelle che alcuni giudicano brutte e altri belle.

Informazioni personali

Fotografo da 38 anni. Professionista da 15. Insegno fotografia da 12. ...mi diverto ancora. Le mie foto possono esser viste sul sito www.axelcipollini.com o sul sito dell'agenzia che mi rappresenta www.auroraphotos.com